di Alistair Castagnoli
Sarà capitato anche a voi la sera,
magari dopo una gara, quando vi coricate nel letto, quando c’è silenzio, quando
i pensieri pesano meno, di sentire quel richiamo, quella voce interiore che vi
prende per mano meditando con voi sulla giornata da poco trascorsa, sulla
vostra vita, sulle scelte fatte, su chi siete. Pensieri, ricordi che evocano in
noi immagini, colori, emozioni.
E in quelle emozioni ci smarriamo
lasciandoci accompagnare in scenari possibili che di giorno con la ragione non
abbiamo il coraggio di confessarci ed esplorare. E stretti a quelle emozioni,
che ci raccontano le scelte che stanno facendo di noi la persona che siamo, ci
commuoviamo. Ci sorprendiamo, ci arrabbiamo e decidiamo che le cose cambieranno,
che dobbiamo fare quella cosa e quell'altra. E, mentre pianifichiamo come
trasformare la nostra vita in un'opera d'arte, ci addormentiamo cullati dalle
emozioni che delineano il nostro carattere.
Ascoltare le emozioni è ascoltare
una rilevante parte di noi. Una parte che ci comunica il nostro stato d'animo e
quindi il modo in cui reagiamo agli eventi della vita. E come agiamo definisce
chi siamo. Le emozioni ci descrivono, ci innalzano, ma anche ci controllano.
Perché non esiste il bene assoluto, ma il bene che compiamo con gli strumenti
che padroneggiamo.
Gli ultimi 30 anni di ricerche
hanno confermato che i circuiti emotivi hanno sede nel cervello: sacrificare le
sensazioni emotive a vantaggio della ragione o abbandonarsi irresponsabilmente ai
segnali dettati dalle emozioni spesso ci condanna a scelte che non portano i
risultati sperati.
Mr. Spock, l'ufficiale scientifico
di Star Trek – magistralmente interpretato da Leonard Nimoy scomparso mentre
lavoravamo a questo articolo – da sempre ci insegna di come la collaborazione
tra ragione ed emozioni sia la strada più vantaggiosa per la conoscenza. Dotato
sia di intelligenza emotiva che di intelligenza razionale, Spock intuisce che
la conoscenza nasce prestando attenzione ai dettagli sia in modo logico sia
intuitivo (vedi su Discover Magazine il toccante saggio “What a Half-Vulcan
Taught Us About Science” di Corey S. Powell all’indirizzo http://blogs.discovermagazine.com/outthere/2015/02/28/half-vulcan-taught-us-science/). Questa cooperazione è essenziale per conoscere se stessi, per comprendere dove
stiamo andando, per compiere quell'affascinante viaggio che ci permette di
vedere noi, gli altri, ogni scenario con gli occhi sempre rinnovati di un
bambino che ama meravigliarsi e apprendere.
Le neuroscienze ci spiegano che le
emozioni non sono elementi di disturbo della performance sportiva, ma utili
alleati se messe al servizio della nostra conoscenza e del nostro benessere. Si
può fare sport in molti modi, ma – come per la vita – il punto chiave è la consapevolezza
con cui ogni gesto e ogni allenamento viene vissuto. Questa consapevolezza
emotivo-cognitiva definirà l’atleta del futuro: una persona che, migliorando il
rapporto con il potenziale ancora bloccato dentro di sé, si innalzerà verso
“terreni inesplorati”.
Per questo motivo è utile parlare
di emozioni nello sport. Per dare voce a chi, quando pratica sport, si guarda
nell'intimo, ascolta le proprie emozioni e le usa per tracciare la via che lo
conduce là dove vuole andare.
Una via che parte da dentro di
noi, dal dialogo interno tra pensieri ed emozioni, per “portarci
coraggiosamente là, dove” l'uomo che eravamo, “non è mai giunto prima.”
Clicca qui per leggere l'articolo sulle emozioni, decision-making e performance sportiva, legato a questa introduzione!
Questo articolo è stato pubblicato
sulla rivista Nuova Atletica - Ricerca in Scienza dello Sport, N. 249,
novembre/dicembre 2014
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